Già nel 2016 si gridava al lupo: l’intelligenza artificiale avrebbe messo le mani sulla tastiera, sostituendosi a giornalisti umani per scrivere articoli (nello specifico, sportivi).
Da più parti si gridava alla morte della categoria e allo scandalo per la fine di un’arte “nobile” (senza peraltro ricordare che di Gianni Brera ce n’è stato uno solo, e che le buone penne nell’ambito del giornalismo sportivo sono veramente poche).
I soliti luddisti, e un non problema
Battute a parte, vale la pena sottolineare che la tanto temuta invasione dei robot non solo non si è verificata, ma che il loro ruolo è invece ormai accolto con interesse e con entusiasmo da chi lavora nel settore. Un’AI non pubblicherà notizie non confermate o false a meno di essere istruita in questo senso (un’impossibilità) e piuttosto sarà utile ai giornalisti umani per correggere, per aiutare, addirittura per prevedere i trend.
Del resto succede già con delle funzioni apposite di Google, disponibili a tutti, che permettono di vedere “la temperatura” delle notizie del momento, capendo perciò di cosa si continuerà a discutere e permettendo di decidere di cosa occuparsi.
Al solito, a lamentare questi avanzamenti tecnologici sono personaggi che probabilmente saranno pensionati quando (e se) queste novità potrebbero essere implementate nelle redazioni. Il loro posto di lavoro, in altre parole, è al sicuro. Altri scettici sono da inserire nel quadro di un atteggiamento luddista che non ha senso di esistere: non si può scegliere la tecnologia che piace e che aiuta a lavorare meglio e respingere quella che non si capisce.
Per non parlare poi del fatto che con un giornalismo in crisi come quello odierno, le AI possono solo che far bene…